di Roberto Miliacca

Quando l’Intelligenza artificiale sbaglia, chi paga? Chi risarcisce per il «danno tecnologico» causato da un algoritmo, e in che misura può essere quantificabile questo danno da un giudice? La domanda è tutt’altro che di facile soluzione: un paio di settimane fa, alla convention romana dell’International Bar Association, le sessioni dedicate ai dibattiti sulle implicazioni legali legate all’AI, sono state tra le più seguite dagli avvocati provenienti da tutte le parti del mondo.

Alcuni esempi: il danno causato da un’auto «driveless», senza guidatore umano, ma con la presenza di uno o più persone a bordo, come può essere quantificato e, soprattutto, quale responsabilità hanno la casa produttrice del veicolo e la persona che si è affidata a un robot? E, ancora, in caso di un flop di prodotti finanziari «gestiti» da algoritmi sulla base delle oscillazioni previste dei mercati, che tipo di tutele contrattuali debbono essere assicurate all’utente? Sono solo alcuni dei temi sui quali l’avvocatura si sta interrogando da tempo, soprattutto in quei settori, come per esempio nel life science o nell’Ip, nei quali l’AI è già sbarcata in maniera decisa, e attorno ai quali si sta riscrivendo lo stesso modo di esercitare la professione legale. Ne abbiamo parlato, questa settimana, su Affari Legali, con alcuni degli studi che prima di altri, si sono interrogati sulle opportunità, ma anche sui rischi, legati all’ingresso sempre più massiccio dell’Intelligenza artificiale nei vari settori produttivi e nella professione. E mentre non c’è che non veda l’opportunità che l’AI offre, agli studi, di sgravare i professionisti dalle attività cosiddette ripetitive, dall’altra parte non ci si può non interrogare sui possibili danni che possono essere causati da una «deriva tecnologica», priva di un qualsivoglia bilanciamento giuridico.

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